Intervista a Marco De Veglia

realizzata da Nicola Fiabane nell'agosto 2016

La prima volta che ho sentito parlare di Marco De Veglia è stato poco dopo il 2001, quando mi sono registrato ad una sua mailing list. Stavo cercando approfondimenti e novità sul Database Marketing (una forma particolare di marketing a risposta diretta) e mi ero imbattuto nel suo lavoro.

Qualche anno dopo (circa nel 2006) dopo aver letto un suo intervento in un forum, ho avuto occasione di contattarlo per scambiare idee sul direct response marketing applicato al web, a quel tempo una disciplina agli esordi in Italia e sulla quale entrambi ci stavamo specializzando.

Marco ha segnato un impatto rilevante nella cultura del marketing in Italia. Se alcune idee sono oggi particolarmente diffuse è conseguenza di scelte fatte da Marco più di 10 anni fa.

Pensa all'idea di associare il Brand Positioning come insegnato da Trout e Ries al marketing a risposta diretta e al copywriting: non è un accostamento tradizionale, ma una delle intuizioni che Marco ha portato avanti e che in Italia ha ottenuto particolare popolarità.

Nel nostro mondo dell'online e direct response marketing ci sono poche novità che Marco non sappia, perché molti marketer gli chiedono consiglio prima di lanciare nuove iniziative e nuovi marchi.

Scherzosamente una volta ho definito Marco come un grande “creatore di mostri”, perché molti dei formatori e marketer più noti (anche alcuni che non ti aspetteresti) hanno iniziato o hanno fatto un salto di qualità proprio grazie ai suoi corsi o alla sua consulenza su Brand Positioning e copywriting.

Lui se ne sta tranquillo a New York, studia i casi che gli vengono presentati, espone via Skype ai clienti le sue valutazioni di Brand Positioning e copywriting… e poco dopo in Italia vedi un'altra campagna marketing o un nuovo marchio lanciato con quel suo tocco riconoscibilissimo.

Nel corso del tempo ho visto Marco restare fedele ad alcune idee chiave: la priorità del Brand Positioning, il valore del marketing a risposta diretta e del copywriting.

E così mentre marketer come Giulio o io abbiamo sperimentato nuovi modelli come piattaforme di acquisizione clienti e marketplace, Marco ha preferito restare fedele ai modelli di business più tradizionali del direct response.

Parlando di brand, mentre a me capita di studiare e sperimentare idee nuove come quelle spiegate dal professor Byron Sharp nel libro “How Brands Grow”, Marco ha preferito restare fedele all'applicazione e divulgazione del Brand Positioning nella versione classica di Trout.

Parlando di copywriting, nel tempo lo stile di Marco si è evoluto per tener conto del maggior livello di sofisticazione del pubblico, restando inconfondibile e piacevole da leggere.

La mia impressione è che il mercato sa di trovare in Marco una sicurezza. In azienda non sempre c'è bisogno di studiare a fondo il Brand Positioning o di consultarsi con un esperto sul tema. Ma quando emerge questa necessità, Marco diventa il naturale punto di riferimento e l'esperto da studiare e consultare.

Ciao Marco e grazie per la tua disponibilità. La prima è la classica domanda di rito: che cos'è il Brand Positioning e quali vantaggi porta?

Il Brand Positioning è un'attività concettuale che permette di individuare quale messaggio di marketing andare a comunicare.

È stata definita per la prima volta circa 50 anni fa da Ries & Trout nella loro serie di articoli prima e nel loro libro “Positioning” successivamente. Ed è considerata la “strategia di marketing” più importante e diffusa.

Ma secondo me è più corretto definirla “la strategia che guida il marketing”.

Il nome deriva appunto dalla combinazione di “brand” e “positioning”.

“brand” è tecnicamente una combinazione di parole, immagini e messaggi collegati che rende un prodotto/un'azienda percettivamente differenti dai concorrenti.

“positioning” significa in inglese “l'atto di porre qualcosa in una posizione” e si riferisce all'atto di porre la brand in una posizione dominante nella testa dei potenziali clienti.

Chiaramente stiamo parlando di un modello mentale e non di chirurgia, ma il concetto è esattamente questo. Ipotizzando che, per ogni categoria merceologica ci siano delle scale di 2-3 gradini con delle brand su ogni gradino: sul primo gradino ci sarà la brand leader o “top of mind”, ovvero la prima brand che viene in mente pensando a una particolare categoria merceologica.

Esempi: Ferrari per le fuoriserie, Barilla per la pasta di semola, Starbucks per le catene di caffetterie, Red Bull per gli energy drink eccetera.

Il “brand positioning” è allora l'attività che deve essere fatta per porre una brand in posizione dominante nella scala della categoria merceologica in cui compete.

Se ci sono già altre brand che occupano i gradini della scala si può o cercare di prendere il posto di una delle brand esistenti (“repositioning”), oppure creare una scala “di nicchia” collegata alla categoria merceologica, ma con un mercato più ristretto, in cui la propria brand sia leader, cioè al primo posto.

Si capisce da questa spiegazione come, iniziare un qualsiasi programma di marketing senza definire la situazione competitiva e il messaggio usando il Brand Positioning significhi lavorare alla cieca, e quasi certamente in modo non efficace.

Agli esordi della cultura del web marketing a risposta diretta in Italia (circa 2006) tu aiutavi i vari marketer a prendere un posizionamento da specialista, ciascuno il suo.

Questo aiutava il mercato a crescere perché i clienti potevano trovare una figura di riferimento per ogni esigenza, senza sovrapposizioni.

Poi il mercato è diventato sovraffollato.

Adesso ho l'impressione che alcuni marketer stiano usando il Brand Positioning come una clava, per provare ad occupare le stesse posizioni già prese da altri.

Mi capita di leggere marketer che affermano di essere i primi oppure gli unici specialisti in un certo argomento anche quando non è vero, perché ci sono diversi concorrenti simili o con qualifiche superiori. Cosa sta accadendo?

Non sono convinto che i tutti i marketer che citi siano consci del Brand Positioning e lo usino veramente. Sarei lusingato che siano tutti “figli miei” o del Brand Positioning, ma credo sia piuttosto una semplificazione di marketing, usata da internet marketer all'arrembaggio.

Ovvero dire “sono il primo” male non fa anche perché è difficile verificare la veridicità dell'affermazione e perchè stiamo parlando di micro-aziende che non hanno tutti i limiti delle grandi aziende. È sicuramente una condizione di Far West, ma non credo sia molto “pericoloso” per i clienti. Nel senso che queste affermazioni “il primo che…” lasciano abbastanza il tempo che trovano, alla fine sono sempre e solo rumore.

Il Brand Positioning è semplice, ma non è facile. Questo significa, per esempio, che il livello di “nicchia” o “verticalità” che rimanga rilevante a livello di marketing, non è così semplice da definire. E appunto spesso vedo nicchie che non hanno veramente alcuna ragione di esistere e, di fatto, continuano a non esistere nella testa dei potenziali clienti, ma solo negli slogan dei marketer.

La rilevanza e la credibilità sono due fattori essenziali per il Brand Positioning, ma sottovalutati da molti.

Vivi a New York, eppure la maggior parte dei tuoi clienti sono italiani. Ti fai poca pubblicità, ma c'è la coda per ricevere una tua consulenza. Con i corsi vendi bene ma - che io sappia - per ora hai un solo titolo (Brand Facile). I tuoi argomenti sono gli stessi da più di un decennio, eppure sei uno dei marketer ai quali rivolgersi per scoprire le ultime novità. Qual è il segreto del tuo modello?

Non ho mai pensato a me in questi termini o di avere un modello, ma effettivamente le tue considerazioni sono vere e meritano una riflessione (grazie per questo spunto!).

Credo che una differenza reale con il 99% dei miei concorrenti siano… mediamente 20-30 anni di differenza che da parte mia sono stati tutti spesi come marketer professionista. Ovvero quando gli internet marketer tra i 25 e i 35 anni andavano ancora a scuola, magari alle medie, io già lavoravo sui concetti del marketing e del Brand Positioning.

Ho quindi avuto tempo e modo - lavorando con multinazionali, in agenzia e con tanti imprenditori medi, piccoli e piccolissimi - di fare più esperienza e di elaborare più profondamente i concetti con i quali lavoro. E che mi permettono oggi di dare ai clienti i concetti sempreverdi che sono quelli importanti, indipendentemente dallo strumento che va per la maggiore questo mese. Questa prospettiva manca totalmente agli internet marketer che oggi sono di fatto “i marketer” attivi sul mercato e che si promuovono su Internet.

Inoltre ho due passioni che mi aiutano nel mio lavoro: amo semplificare i concetti per farli capire a tutti e questo si vede nel mio corso Brand Facile (molti mi hanno scritto dicendo che è il miglior corso che hanno comprato) e amo la tecnologia (bazzico con i computer dal 1979 e ho fatto anche il programmatore 30 anni fa). Quindi, da un lato riesco a produrre formazione efficace e dall'altro sono sempre aggiornato.

Perché non realizzo altri corsi? Il motivo è che sono molto esigente e quando creo un corso voglio che sia assolutamente originale e di massimo livello. Sono molti anni che ragiono su come realizzare un corso di copywriting che in molti mi chiedono e qualche volta sono andato vicino a farlo, ma continuo a pensare che manchi qualcosa e quindi… elaboro ancora un po' (un corso di copywriting di cui ero co-autore non mi ha mai convinto, non era a un livello abbastanza alto e sono contento che non sia più disponibile perché mi sono separato dal mio co-autore).

Tu hai visto da vicino l'evoluzione della formazione su web marketing e marketing a risposta diretta per PMI in Italia. Secondo te cosa abbiamo fatto bene, cosa avremmo potuto far meglio e cosa dovremmo fare in futuro?

Sì, se mi ci fai riflettere, posso dire di averlo visto passare sotto i miei occhi. Ricordo ancora quando ho iniziato io a occuparmi di DM, era il 1995 e avevo capito che il mio interesse nella pubblicità (in cui avevo lavorato per 5 anni) passava certamente per il marketing a risposta diretta.

Oggi praticamente anche il lattaio sotto casa parla di “lead generation” che fino a 10 anni fa era un concetto sconosciuto, anche se io appunto l'avevo imparato sullo Stone e altri libri già verso la fine degli anni 90. Credo che la miccia sulla leadgen e sul marketing a risposta diretta fatto su Internet l'abbiate proprio accesa tu e Giulio Marsala con il vostro Acquisire Clienti nella seconda metà del primo decennio del 2000.

Cosa noto io?

Noto una totale assenza di conoscenza sulle basi del marketing a risposta diretta, che del resto è un classico dei “nuovi mercati”. Si dimentica facilmente che nulla è veramente nuovo e si pensa che sia appena stato inventato. Ma i concetti che oggi vengono promossi dai guru Americani e poi ripresi (spesso male) dai guru Italiani sono i concetti che qualsiasi direct marketer conosceva già 100 anni fa… diciamo 50 per essere gentili. E appunto persino negli anni '90, credetemi, quando il web non esisteva ancora o le pagine erano ancora con lo sfondo grigio, c'erano già tutti questi concetti e altri che invece oggi si ignorano.

È un po' come la festa di Halloween in Italia che, grosso modo, ha la stessa età del marketing a risposta diretta. Ovvero un gran scimmiottare male gli americani senza capire le basi concettuali. E quindi ad Halloween vediamo tutti questi italiani che si vestono da streghe e vampiri (mentre Halloween in USA ad esempio è esattamente come Carnevale e ci si veste da quello che si vuole) e vediamo questi italiani che scrivono le headline con Le Iniziali Maiuscole (come in inglese, peccato che in italiano non si usino e diminuiscano la leggibilità).

Cosa dovremmo fare in futuro?

Inserire una maggior “italianizzazione” dei concetti e capire che non si può scimmiottare gli americani (anglosassoni) quando si scrive e si “parla” (il copy e' “scrivere come si parla”). Mi piacerebbe vedere una “scuola italiana” del marketing diretto e credo che sicuramente possa funzionare meglio di quanto funzioni oggi. Ma è anche vero che l'evoluzione del mercato porterà sempre di più internet a essere importante nel communication mix e quindi questo significherà un sempre maggior utilizzo e quindi anche “normalità” del marketing diretto. Sarà quindi naturale trovare una “via italiana” al DM.

I costi della pubblicità online sono aumentati. Ci sono più concorrenti, meglio preparati di un tempo. E in alcuni mercati il clima competitivo è diventato incandescente. Ci sono delle opportunità o delle logiche che più spesso ti capita di indicare ai tuoi clienti per far bene in un mercato diventato più complicato?

Per mia esperienza i clienti sono ben lontani da capire queste cose che richiedono una visione competente ed esperta. Attualmente quel che vedo è il deciso spostamento dell'interesse dei clienti dal SEO al Social considerato per lo più come “usiamo la pagina Facebook”. Peccato che non si rendano conto di come una strategia pura social sia insufficiente perchè senza l'investimento in FB Ads i contenuti non vengono mostrati.

Direi che i clienti sono al livello di “con i Facebook Ads puoi mostrare i tuoi annunci al tuo target” (“Oooh bello!”). E semmai quelli più “esperti” sono da portare verso Adwords che oggi viene visto come “troppo caro e difficile”.

Nel complesso direi che i clienti sono nella maggioranza dei casi ancora “pre-marketing” anche se per lo meno sanno che “magari con Internet si possono trovare clienti”. È un passo avanti rispetto a 10 anni fa.

Per chi fa il nostro mestiere di marketer è importante saper generare idee. Hai un tuo approccio specifico per generare idee nuove? segui delle abitudini particolari?

Non sono particolarmente affezionato all'idea del mese. Tendo a cercare idee che abbiano solidità che siano già state convalidate, magari in un altro mercato.

Ecco direi che il mio approccio è quello di conoscere idee e concetti in un mercato e capire se e come si possono applicare in un altro.

Spesso è il mercato americano che mostra comunque i trend che saranno in Europa e in Italia dopo qualche tempo. Ma, come ho detto prima, va capito se e come possono adattarsi al mercato italiano.

Portare in Italia i contenuti americani pari pari o magari portare il guru americano di turno a parlare in Italia (come ora si usa) secondo me non funziona per dare contenuti di sostanza: funziona come show-business, naturalmente, ma questo è un altro discorso.

Per chi volesse saperne di più delle tue novità, dei tuoi corsi e dei tuoi servizi, come è possibile seguirti?

Ci sono diversi modi per entrare in contatto con me.

Come hai indicato tu c'è il mio corso Brand Facile. Ci sono dei contenuti gratuiti a questo indirizzo.

Inoltre potete accedere al mio sito Turbomarketing Formula dove raccolgo informazioni utili al marketing per le PMI.

Su Facebook ho creato il gruppo Brand Positioning e il gruppo Turbo Marketing.

E ovviamente il mio profilo Facebook.

Ciao Marco e grazie!


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